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Immagine del redattoreEdward Janine

I - KED

- Come il piccolo Toby divenne Papa -

Nonno Gebediah era un vecchietto arzillo: pochi capelli bianchi, niente reumatismi, e, soprattutto, nessuna traccia di quel fastidioso amore per le lamentele tipico degli anziani; trattasi della celeberrima tendenza a fossilizzarsi mentalmente in un periodo prospero della propria vita, che conduce il senile soggetto ad una sorta di rassegnato disprezzo verso qualunque cosa non faccia parte di quell'irrecuperabile lasso di tempo. Gebediah ne era immune, egli viveva ogni singolo giorno come fosse il più bello della sua esistenza, il migliore e anche l'ultimo, quindi per il piccolo Toby, il suo unico nipote, passare del tempo con lui era sempre una festa. Il nonno, che non si curava molto della propria età avanzata, sembrava non considerare nemmeno quella del proprio nipote, visto che spesso lo coinvolgeva in attività che i genitori di Toby non avrebbero assolutamente approvato, nulla di riprovevole, per carità; ma assistendo al comportamento di Gebediah a volte si aveva l'impressione che nella sua mente l'uomo avesse fatto una sorta di media tra i propri anni e quelli del nipote, e che scegliesse i loro passatempi sulla base di questo assurdo calcolo.

Soltanto una cosa riusciva a rovinare il suo morale: accadeva spesso che, durante una delle loro emozionanti gite, i due avventurieri si trovassero nei paraggi di una chiesa, al che il piccolo si portava una mano al cuore e un dito sulle labbra, per recitare una piccola preghiera di riverenza e di ringraziamento nei confronti del Grande Dio dalle Bionde Chiome. In quei casi Toby aveva notato con stupore che il nonno, oltre a non partecipare alla riverenza, volgeva lo sguardo altrove con un'espressione corrucciata sul volto. Quando, un giorno, il bambino aveva chiesto il motivo di quel comportamento, Gebediah aveva ignorato la domanda, e per qualche minuto aveva camminato in silenzio con lo sguardo rivolto a terra. In un'altra occasione, addirittura, Toby desiderava entrare in una chiesa, e il nonno aveva immediatamente girato le spalle ed era tornato a casa, borbottando qualcosa circa un dolore al ginocchio in tono molto poco convincente.

Così Toby smise di chiedergli spiegazioni riguardo il suo comportamento, ed il vecchio predispose accuratamente i loro percorsi affinché evitassero di incrociare chiese o santuari di sorta.

Fu il giorno seguente al suo decimo compleanno che Toby venne finalmente a conoscenza del motivo che spingeva il nonno a quel bizzarro comportamento.

La festa era stata maestosa, poiché al compimento del decimo anno di età i bambini entrano ufficialmente a far parte della Comunità dei Figli del Grande Dio dalle Bionde Chiome; per questo motivo i genitori del ragazzino erano indaffarati a ripulire e riordinare la casa. Gebediah non si lasciò scappare l'occasione: afferrò la mano del nipote e lo trascinò nella sua stanza. Dopo aver chiuso la porta a chiave fece sedere il nipote sul letto, e si diresse verso la parete di fronte. Dopo averne accarezzato per un po' la superficie, batté col pugno sul muro, apparentemente su tre punti a caso. Per qualche secondo non accadde nulla, poi si udì uno scricchiolio quasi impercettibile seguito da una sorta di sbuffo, e sull'intonaco bianco si aprì una piccola porticina, così stretta che il vecchietto dovette chinarsi per entrare.

«Chiusura ad aria compressa», disse il nonno voltandosi verso Toby; poi, facendogli segno con la mano, lo esortò a seguirlo. Il nipote non se lo fece ripetere due volte, esterrefatto e curioso com'era. Mentre si addentravano in uno stretto cunicolo illuminato solo da alcune vecchie lampadine incrostate, il ragazzino disse: «Mamma e papà non mi hanno mai parlato di questo passaggio...», «Mamma e papà non erano ancora nati quando io ho costruito quest'ala della casa... - sentenziò Gebediah - … Anzi, per essere più precisi, quando l'ho nascosta...», aggiunse, poi proseguì in silenzio lungo il tunnel che sembrava salire verso l'alto, forse verso la soffitta.

Così com'era iniziato, improvvisamente il tunnel terminò, ed i due si ritrovarono all'interno di una piccola stanza buia, che tremolava mollemente alla luce di due grandi candele cerimoniali poste ai lati di quello che aveva l'aspetto di un altare fatto in casa: un tavolo in legno, probabilmente inciso a mano, coperto da una tovaglia rossa, anch'essa intessuta ai ferri. Tutte le pareti erano nascoste da drappi color porpora, e il pavimento era infoltito da un tappeto di pelo nero, sicché era del tutto impossibile per Toby riconoscere in che parte della casa si trovassero. Nell'aria aleggiava un odore di chiuso e vecchio, che non risultava del tutto sgradevole alle narici del bambino, era un profumo che aveva sentito molto spesso sul nonno, quindi lo aveva sempre associato a qualcosa di positivo. Gebediah notò che il nipote era inquieto, perciò si diresse verso l’altare e, premendo un interruttore nascosto da qualche parte, accese una vecchia lampadina a forma di fiammella, di quelle che si trovano abitualmente nelle chiese, con la differenza che questa era stata dipinta di rosso, come tutto il resto della stanza.

Toby non si accorse subito della statua, sebbene essa fosse posta proprio dietro la lampadina, ma quando la vide sgranò gli occhi in un’espressione di sincero stupore.

«Quello è Ked - sussurrò il nonno per non rovinare l’atmosfera che si era creata - Lui è il vero Dio che tutti noi dovremmo pregare, l’unico a cui dovremmo rivolgerci, l’unico a cui dobbiamo gratitudine…». Ked, bizzarro nome, eppure straordinariamente adatto a quella piccola creatura, una figurina tozza, non più alta di una quarantina di centimetri, con arti privi di mani e piedi, il corpicino privo i abiti, che mostrava una pelle bianca ma ruvida, porosa. Sulla testolina rettangolare, adagiata sul busto senza l’ausilio di un collo, era dipinta con stilizzata semplicità un’espressione che ad un primo sguardo era del tutto indecifrabile: paura, tristezza, speranza, bontà, tutto questo era racchiuso in due puntini e una riga schizzati in nero; tre segni così semplici riuscivano ad esprimere alla perfezione tutte queste emozioni come nessun pittore o scultore era mai riuscito prima, e, sopra di essi, sulla sommità del capo, un ciuffetto di peluria rossa simile ad una fiammella.

«Lui è un Dio? - chiese Toby stupito - E il Grande Dio dalle Bionde Chiome? Non è Lui l’unico vero Dio?», aggiunse con quella semplicità che solo i bambini posseggono. Questa volta Gebediah non mutò d’umore nell’udire quel nome, anzi, sembrava che non stesse aspettando altro che quella domanda. «Effettivamente… - iniziò - …effettivamente Ked non è un vero Dio, non come il Dio dalle Bionde Chiome, perlomeno... Egli non è onnipotente, non ha mai creato nulla, ma ti assicuro che merita più venerazione di qualsiasi altra divinità... Vieni, piccolo, siediti qui vicino a me e ti racconterò la storia del povero Ked…».

Gebediah e Toby si accomodarono sull’unica poltrona che occupava il centro della stanza, ed il vecchio iniziò il suo racconto:

«Accadde che, un bel giorno, il Biondo Dio iniziò ad annoiarsi. Un’eternità di solitudine è insostenibile anche per un essere divino come lui, per questo egli decise di creare l’universo.

Purtroppo la sua potenza era tanto grande quanto la sua pigrizia, perciò, invece d'impegnarsi egli stesso nel compito, diede vita a sette piccole emanazioni di se, e, insieme al nome di Schaffers, diede loro il compito di costruire un universo infinito e splendido, all’interno del quale avrebbero dovuto collocare un mondo pieno di creature stupefacenti, governate da un essere speciale dotato di intelletto, affinché tutte queste cose insieme fossero servite al suo personale diletto. Gli Schaffers si misero immediatamente al lavoro, e in soli sei giorni crearono tutto ciò che ci circonda, lo spazio, i pianeti, poi la terra, le piante e gli animali. Il settimo giorno le emanazioni concentrarono tutto il potere e la creatività che rimaste per dare forma al nuovo essere che avrebbe regnato sul mondo, e fu così che nacque Ked. Le doti di quest’ultimo erano talmente grandi che i sette non riuscirono a realizzarne più di un esemplare prima di esaurire completamente i loro poteri, e, vedendo che la loro opera era cosa buona, decisero di sottoporla finalmente al giudizio del Dio, il quale nel frattempo aveva passato il tempo dormendo. Gli Schaffers fecero ampia e fastosa dimostrazione di tutte le meraviglie da loro create, e la divinità ne fu entusiasta, ma quando venne il momento di conoscere Ked egli andò su tutte le furie.

«E questa dovrebbe essere la creatura che governerà tutto questo mondo meraviglioso? - sbottò - Ma è orribile! Così piccolo e informe, privo di colore!». «Perdonateci, o divino... - sussurrò uno degli Schaffers - …ma oramai i nostri poteri si stavano esaurendo, quindi non li abbiamo sprecati per curare l‘aspetto esteriore... Vi assicuriamo che questa creatura è la più adatta per svolgere il compito per cui è stata creata: egli è dotato di grandi poteri, è immortale, e, soprattutto, è saggio e magnanimo, intelligente e naturalmente portato al bene…». «Queste cose non mi interessano! - lo interruppe il Dio - Io voglio un essere forte e bellissimo, proprio come me! Mi occuperò io di creare questo dominatore, e lo farò a mia immagine e somiglianza!»... E fu così che nacque l’essere umano».

«Ma cosa accadde a Ked?», chiese Toby preoccupato, «Sei un ragazzino sveglio - rispose il nonno sorridendo - Poiché è proprio questa la parte più importante della storia… Il povero Ked fu bandito dal mondo celeste e si ritrovò a vagare sulla terra, ignorato da tutti gli esseri umani, i quali erano talmente occupati ad adorare il loro Dio dalle Bionde Chiome che finirono addirittura per dimenticarsi della sua esistenza… Ma Ked non provava rancore, anzi, la sua bontà era così grande che iniziò ad utilizzare i suoi poteri per aiutare gli uomini puri di cuore. Fu così che le persone che avevano ricevuto benefici da lui iniziarono ad adorarlo come una divinità, fatto che fece andare su tutte le furie il Biondo Dio. Egli lanciò una maledizione sul povero esserino, decretando che tutti gli umani da lui aiutati avrebbero perso la loro bontà, i loro cuori si sarebbero corrotti, e la fortuna procurata loro da Ked sarebbe maturata in maniera perversa, portando alla sofferenza di molte altre persone. Il malcapitato esserino era troppo fiducioso nella forza del bene, credeva fermamente che nonostante la maledizione potessero esistere degli umani realmente buoni che non si sarebbero fatti corrompere… Ked continua a vagare per il mondo alla ricerca di un puro di cuore che con la sua bontà riuscirà a spezzare la maledizione, e noi dobbiamo pregare affinché questo avvenga al più presto, dobbiamo liberare la nostra anima da ogni traccia di malvagità, poiché ognuno di noi potrebbe essere il puro di cuore, il prescelto che cambierà le sorti del mondo…».


Lo champagne emanava dei riflessi dorati, mentre l’uomo vestito di porpora faceva roteare lentamente il calice tra le sue dita. Oramai la festa era finita da un pezzo, ma egli si stava godendo l’ultimo sorso ammirando lo splendido panorama di Parigi dalla vetrata del ristorante Jules Verne, che aveva fatto completamente riservare per la sua celebrazione. Al centro della sala, sospeso a mezz’aria, un ologramma 3D recitava: “Buon Anniversario Sua Santità Robinson!”.

Aveva costruito la sua fortuna dal nulla, era l’artefice di una rivoluzione culturale e teologica, ed ora se ne godeva i frutti. Ovunque nel mondo le chiese dedicate al Grande Dio dalle Bionde Chiome non erano altro che musei, i suoi santuari sostituiti da quelli del Grande Dio Ked; lui, Tobias Robinson, il fu Toby, era l’Eletto, il Puro di Cuore, colui il quale aveva finalmente rotto la maledizione. Oramai il culto di Ked contava miliardi di fedeli in tutto il mondo, una massa di poveri idioti senza volontà che facevano qualsiasi cosa il loro messia gli dicesse, ed essere un messia fruttava un sacco di soldi.

L’uomo vestito di porpora alzò il calice verso il cielo, brindando fra se alla memoria di suo nonno, il vero fautore della sua fortuna.

Suo nonno, certo, e quel povero disgraziato di Ked. »


13 Janine concluse la narrazione con una risata gracchiante, e nuovamente una sensazione orribile gli strinse lo stomaco; «Buonanotte, caro mio...»,sibilò ella, dopodiché estinse il lume. L'ultima cosa che egli vide prima di scivolare nel sonno fu un guizzo dei suoi occhi licantropi.


****

1 Il mattino seguente si svegliò rannicchiato sulla poltrona, le membra dolenti ed il pensiero annebbiato. Un sogno, certamente, ma di che specie, che vividezza!

2 Egli era sempre stato affascinato dal processo di catalogazione e registrazione menmonica dei ricordi, sia reali che onirici, e spessissime volte aveva richiamato alla mente il souvenir di qualche sogno per poi confrontarlo con quello di un fatto realmente accadutogli. La straordinaria macchina cerebrale conserva queste memorie e, quando le consulta, riesce a dar loro un sapore differente, in maniera che il nostro ego ne riconosca la distinta natura. Un meccanismo stupefacente, inspiegabile, comprensibile solamente previa sperimentazione soggettiva; in quel caso, però, il sapore del ricordo di quell'incontro notturno era molto ambiguo, ed egli non sapeva come catalogarlo.

3 Ripercorse mentalmente i pensieri della giornata precedente, il turbamento emotivo, la riflessione sul pontefice, il recondito e costante senso di colpa che accompagnava ogni sua attività che non si potesse definire “redditizia”. Un sogno, certamente, l'usuale miscuglio psichico, non v'era dubbio alcuno. Mentre si gustava il caffè mattutino arrivò alla conclusione che era caduto vittima di un tipo particolare di paralisi nel sonno, patologia di cui soffriva da anni. Colto da un'ispirazione notturna si era probabilmente recato nello studio per consultare la Bibbia e fissare qualche appunto, ed era finito per addormentarsi sulla poltrona col libro in mano, rimanendo bloccato nel limbo tra sonno e veglia dove l'usuale dimonio lo attendeva, questa volta nei panni del suo super ego, Janine.Svolse nuovamente il foglio illustrativo del medicinale, alla ricerca di uno specifico effetto collaterale: “torpore, sonnolenza, sconsigliato l'uso di macchinari durante l'assunzione”, et voilà, mistero risolto.

Rincuorato, ripose il foglio nella scatola, congratulandosi con se stesso per essere riuscito a non indugiare con lo sguardo sulla parola “SPERSONALIZZAZIONE”.

4 Col calar delle tenebre, però, mentre il vento infieriva sulle imposte accuratamente serrate, questa certezza positivista iniziò a scemare, e l'esitazione nell'assumere la pillola fu nuovamente prepotente; la ingoiò, infine, insieme ai suoi dubbi. A dispetto delle indicazioni lette quel mattino, però, il sonno faticò parecchio ad arrivare, mentre egli tendeva l'orecchio ad ogni scricchiolio, fermamente intenzionato a non abbandonare il suo giaciglio per nessuna ragione al mondo. Non fu necessario.

5 Non un suono, questa volta, bensì una luce, filtrata attraverso le sue palpebre nell'istante in cui abbandonava la coscienza. Un bagliore bluastro, che si accese come un fiammifero, ma in silenzio, ed iniziò ad invadere la stanza donando alle pareti una parvenza liquida. Con le tempie che martellavano ed il battito che pulsava in gola, egli tentò disperatamente di non aprire gli occhi, fino a che una voce melanconica, dolce e così familiare, non lo costrinse a farlo: «Mi rincresce enormemente disturbarvi... Voi solo potete comprendere quanto sia per me uno strazio arrecare disturbo a chicchessia, ma è oltremodo necessario che mi prestiate ascolto...».

6 Un fantasma azzurro, abbigliato con foggia antiquata, fluttuava di fronte al suo letto, tutto contrito e timido... un fantasma, timido! Egli avrebbe dovuto essere terrorizzato, ma quella figura lattiginosa gli suscitava più compassione che spavento, perciò rimase semplicemente a fissarlo, seduto con la schiena contro il muro. A lungo scrutò il suo volto etereo alla ricerca di fattezze precise, ma i suoi connotati erano come celati da una luminosità intrinseca, soltanto gli occhi rimanevano fissi, due grandi, tristissimi occhi. Pareva che lo spettro non riuscisse a trovare le parole per dare prosieguo alla conversazione, perciò, galleggiando su una sensazione surreale, egli azzardò: «...Edward..?»

7«Sono io»

«Com'è possibile?»

«Io sono sempre dentro di voi...»

«Quindi anche questo è un sogno...»

«Vi prego, abbandonate questa ossessione...»

«Di che ossessione parli?»

«Sogno, realtà, che differenza fa?»

«Per Dio, è ben differente! Sarei pazzo se t'incontrassi da sveglio!»

«Non discorrete forse con me sempre? Anche conversare con un interlocutore invisibile non è solitamente considerato segno di sanità mentale...»

«Quello è differente, sono conversazioni mentali... tra me e me... Tutti lo fanno...»

«Sareste così gentile da aprire il libro sul vostro comodino?»

«Aspetta, non mi hai risposto...»

«...vi prego...», per un istante una fisionomia venne a galla su quel volto, qualche cosa d'inquietante, quindi egli obbedì, aspettandosi di trovarsi tra le mani la sua attuale lettura; quale sorpresa, invece, quando sfogliò “Lo Spazio delle Varianti”, di Vadim Zeland, testo metafisico che aveva profondamente influenzato la sua filosofia.

8 «Vi prego, leggete...», lo esortò Edward, «Ma non mi hai detto il numero della pagina...», rispose prudentemente egli, questa volta, però, gli parve di ricevere un sorriso: «Quella, va benissimo...». Perplesso, egli abbassò gli occhi sul volume, ed iniziò: «“Gruppi di persone che pensano in una stessa direzione creano delle strutture energetiche d'informazione, i pendoli. Queste strutture incominciano ad evolversi autonomamente sottomettendo gli individui alle loro leggi. Le persone non si rendono conto di agire involontariamente negli interessi dei pendoli...”», «“...Come risvegliarsi da questa invischiante allucinazione?”», terminò il fantasma, il quale, durante la lettura, aveva recitato a mezza voce l'intero passaggio.

9 «Ricordate questa teoria? - gli chiese Edward – Ha influenzato profondamente la nostra filosofia di vita...»; «Grossomodo, magari non ogni singola parola, ma...», iniziò egli, ma fu immediatamente interrotto dallo spettro, il quale pareva aver acquisito uno slancio di coraggio: «Non sembrava che lo ricordaste così distintamente, ieri notte... Avete forse smesso di credere? Avete forse ricominciato ad attribuire importanza all'opinione della massa, a farvi tiranneggiare dalla volontà di questi pendoli?». «Ieri notte? - chiese egli confuso – Quindi non eri sempre tu... intendo, non ero sempre io, insomma... hai capito cosa intendo...».

10 «Ho capito benissimo... Sembra siate voi a non comprendere... Se quella... strega si è manifestata prima di me è soltanto perché siete caduto preda dei vostri sensi di colpa, avete permesso che il pensiero comune vi facesse sentire inutile soltanto perché non state trascorrendo otto ore della vostra giornata a servire... l'economia...». A queste parole fu il vivo ad alterarsi, perciò ribatté istintivamente: «A servire l'economia? Ne riparleremo quando avrò dato fondo a tutti i miei averi! Vedremo quali alti versi riuscirò a comporre mentre starò morendo di fame!», al che lo spettro tentò di rispondere, ma la sua veemenza era venuta meno, come fosse stato toccato un suo punto debole che ne aveva opacizzato il bagliore: «Voi avete un grande talento...», tentò, ma ottenne solamente un altro ruggito: «Talento inutile!».

11 Questa risposta parve infierire il colpo di grazia ad Edward, che tornò a farsi taciturno, lo sguardo a terra.

Improvvisamente egli provò una profonda tristezza, e quella povera anima gli fece una gran pena: «Suvvia, Edward, sai benissimo come la penso... Si tratta di compromessi... Lavorare otto ore al giorno per servire l'Arte, in maniera da poter creare opere incorrotte, libere dal giogo della necessità materiale...».

12 «Avete ragione, perdonatemi – si scusò il fantasma – Sapete quanto io sia sensibile all'argomento... Ma era necessario che mi presentassi qui, affinché ricordaste voi stesso ciò che avete appena enunciato... Al che vorrei, se mi concedete, narrarvi la triste storia di un pastore che ha perso e ritrovato la fede, una perfetta dimostrazione di come questi sovra-sistemi invisibili possano condurci alla rovina... Ve la riporterò proprio come me la raccontò egli, in sofferta prima persona...



[CONTINUA]

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